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A 25 anni dalla morte del grande europeista Altiero Spinelli. Dastoli, il fedelissimo: “Non accetterebbe il ritorno delle frontiere”
A 25 anni dalla scomparsa (il 23 maggio 1986), Altiero Spinelli è stato celebrato a Roma nel convegno «Per un’Europa libera e unita. Per un’Italia europea», che si è tenuto presso l’Ufficio d’Informazione in Italia del Parlamento europeo.
Altiero Spinelli era nato a Roma il 31 agosto 1907. Inizialmente influenzato dalle idee socialiste del padre, se ne distaccò nel ’24 per iscriversi al Pci. Arrestato nel ’27 per antifascismo, fu poi confinato a Ponza e a Ventotene, dove nel giugno 1941, con Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Ursula Hirschmann (sua futura moglie), scrisse il celebre Manifesto, documento base del futuro federalismo europeo. Dopo essersi già allontanato dal Pci verso la fine degli Anni 30, in opposizione allo stalinismo, partecipò alla Resistenza come azionista, con il nome di battaglia di Ulisse, e nel dopoguerra si dedicò alla causa federalista. All’inizio degli Anni 70 divenne commissario europeo, quindi fu eletto alla Camera e al Parlamento europeo come indipendente nelle file del Pci.
A vedere chi si batte per limitare il Trattato di Schengen, Spinelli direbbe probabilmente che "l'Europa sta facendo la figura del cioccolataio"».
Il vecchio federalista - racconta Pier Virgilio Dastoli, il fedelissimo, per molti anni suo assistente parlamentare - ripeteva spesso questa frase quando si adirava, era un modo per esprimere disappunto, per sottolineare che ci si stava rivelando inferiori alle proprie possibilità.
Oggi avrebbe parecchie ragioni per sbuffare, l'Europa si dimostra più euroscettica, intergovernativa e incapace di fare squadra. E' in pericolo anche la libera circolazione dei cittadini. Altro che spirito federalista.
«Se fosse fra noi, la risposta di Spinelli a questa crisi sarebbe la stessa del 1980, lo scenario non è molto differente», assicura Dastoli, attuale presidente del Consiglio italiano del movimento europeo: «Chiederebbe al Parlamento europeo di assumersi le sue responsabilità e di andare oltre il Trattato di Lisbona, nato vecchio ed è già obsoleto».
Cos'è che non funziona?
«La politica estera è inadeguata rispetto al sogno federalista. Il voto a maggioranza non è abbastanza esteso. Il governo dell'economia manca, gli Stati si coordinano fra loro invece che attraverso la istituzioni comunitarie. Spinelli invocava l'esatto contrario. Voleva più strumenti comuni per l'economia, la giustizia e la sicurezza comune. Oggi li troverebbe inadatti».
Qual è il pericolo?
«L'Ue del Trattato di Lisbona è rimasta in mezzo al guado, è a metà fra l'intergovernativo e il federale. Per questo rischia di affondare».
Da dove ripartirebbe, Spinelli?
«Riprenderebbe la "battaglia del bilancio" aperta nel 1979. Non era un'azione strumentale, puntava a dimostrare che i poteri del Parlamento non erano sufficienti. È stato quello il momento in cui ha lanciato l'idea di una Costituente, lo ha fatto quando è riuscito a dimostrare che ce n'era bisogno».
Come si può vincere la «battaglia del bilancio»?
«Si tratta di modificare il criterio del finanziamento dell'Ue, passare dai contributi nazionali alle risorse proprie. Gestire le entrate oltre che le spese. E poi avviare gli eurobond. Si dice che fu il presidente della Commissione Jacques Delors a proporli. In realtà, fu un'idea di Spinelli».
Cresce il consenso per chiudere le frontiere. Perché?
«Perché è evidente che non c'è nessuno in grado di gestire il fenomeno dell'immigrazione. La gente ha paura e c'è chi cavalca questo timore. L'Unione dovrebbe essere compatta e avere la capacità di negoziare con i Paesi da cui arrivano i migranti. Una strategia collettiva darebbe migliori risultati. Aiuterebbe a vincere la paura».
Sino a dove Spinelli pensava di spingere l'Europa?
«Era convinto che ci fosse bisogno di un governo con poteri limitati ma reali. Il progetto del 1984 indicava can molta precisione le competenze da dare agli Stati e quelle dell'Europa, ispirandosi alla Costituzione tedesca che ripartisce bene fra i Under e la dimensione federale. Ora sono troppe e vaghe».
Che penserebbe della figura del presidente del Consiglio disegnata da Lisbona?
«Chiedeva un presidente eletto che unisse il leader del Consiglio e quello della Commissione. In realtà il Trattato lascia la porta aperta perché le due figure diventino una, nominata dal Parlamento Ue, dunque con una legittimazione democratica».
A Spinelli andrebbe bene?
«Sì. Sarebbe quasi il presidente dell'Europa che sognava. Van Rompuy è un capo politico privo di un'amministrazione. Barroso è il contrario. Sono entrambi deboli e forti. Se di due se ne fecesse uno, Spinelli sarebbe certamente soddisfatto».
Tratto da il quotidiano La Stampa
Pier Virgilio Dastoli già direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, è attualmente il Presidente del CIME, Consiglio Italiano del Movimento Europeo.
Il CIME è una organizzazione nata nel 1948 ed è l’espressione di tutte le forze democratiche, partiti, sindacati, enti, organizzazioni varie consapevoli della rilevanza per l’Italia dell’unità europea. Ha il compito di promuovere attività di vario tipo come approfondimenti politici e culturali su tematiche internazionali, nonché campagne di informazione verso i cittadini rispetto all’operato dell’Unione Europea. Il CIME è membro fondatore del Movimento Europeo che rappresenta una delle realtà più importanti della società civile organizzata.
Dastoli vanta una grande esperienza nel campo istituzionale europeo, in quanto dal 1988 al 2003 ha partecipato ai lavori parlamentari nell’ambito della conferenza intergovernativa sui trattati di Maastricht, Amsterdam e Nizza membro anche delle commissioni speciali sul mercato unico e dell’unione economica e monetaria. Dal 1977 al 1986 è stato assistente parlamentare di Altiero Spinelli,uno dei Padri Fondatori dell’Unione Europea.